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"Chi ha rivelato Roma ai romani è stato un non romano, un veneto, Silvio Negro, capo della redazione romana del Corriere della Sera e vaticanista di fama europea", scrive Stefano Malatesta nell'introduzione a questa nuova edizione di "Roma, non basta una vita", l'opera più nota del giornalista e scrittore considerato il creatore della nuova informazione vaticana, l'inventore del vaticanismo moderno. Volume postumo, pubblicato per la prima volta dopo due anni dalla morte di Negro - il titolo si deve a Dino Buzzati, grande amico dell'autore -, il libro segna una svolta rilevante tra i cultori della "romanità". Prima di Negro imperavano, come scrive Malatesta, "romanisti, cultori e retori di una romanità medio-borghese, che avevano come numi tutelari non il grandissimo Belli ma Trilussa e Pascarella". Con Negro, scrittore che aveva vinto il Premio Bagutta nel '36, dopo Gadda, Palazzeschi e Comisso, l'aneddotica romanesca assurge a genere letterario in grado di illuminare, più di numerosi e ponderosi saggi, l'arte e la storia autentica della capitale. Come il flâneur di benjaminiana memoria, Negro conduce il lettore negli angoli più riposti della capitale, là dove "l'anima e il corpo" della Città eterna possono offrirsi davvero allo sguardo. Non soltanto, dunque, il Colosseo, San Pietro, i Fori, il Campidoglio e così via, ma la piazzetta che si schiude inaspettata, con la sua luce insolita, tra i palazzi. Prefazione di Emilio Cecchi.
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